La chiesetta della Palanca
Posta lungo la strada che da Tesero porta a Stava, dista poche centinaia di metri da Stava e dal Centro Stava 1985.
Nel piazzale antistante si può ammirare il monumento, opera dello scultore Toni Gros, che venne donato ai Superstiti della val di Stava dalle Popolazioni del Vajont “affratellate nell’identica sciagura”.
All’interno della Chiesa la lapide in cristallo, che fu benedetta da Papa Giovanni Paolo II in occasione della visita a Stava il 17 luglio 1988, riporta i nomi delle 268 Vittime della catastrofe raggruppati per nuclei familiari e luogo di residenza e con l’indicazione della data di nascita.
Il testo in calce al lungo elenco di nomi esorta a far in modo che “la superficialità, la noncuranza, l’approssimazione, l’incuria, l’interesse non debbano più prevalere sulla cura per l’uomo, la sacralità della vita umana, la coscienza delle personali responsabilità”. L’edificio originario risale al 1728 e prende il nome da un vicino ponte “a palanche”, costruito cioè con grossi travi in legno.
L’edificio fu demolito e ricostruito nel 1819, nel 1842 fu aggiunto il presbiterio, nel 1874 furono costruiti la sacristia e il campanile.
L’edificio attuale risale al 1934.
Parcheggio
La chiesetta può essere raggiunta dal Centro Stava 1985 con una passeggiata di 15 minuti circa. Nei pressi della chiesetta vi sono due parcheggi per autovetture. Gli autobus turistici possono parcheggiare nell’apposito parcheggio a valle degli alberghi di Stava. Il percorso a piedi dal parcheggio alla Chiesetta richiede 5 minuti circa.
La chiesetta La Palanca è da sempre cara ai parrocchiani di Tesero e lo è ancor di più dopo la triste vicenda che l’ha vista testimone di tanta tragedia nella val di Stava.
Trascriviamo quanto riportato nei notiziari parrocchiali di Tesero degli anni passati circa le origini e la storia della chiesa dedicata alla Vergine Addolorata.“…nel 1726 un nubifragio
scavò in una località della valle di Stava due grandi fossi. Sopra uno di essi fu costruito allora un ponte “a palanche” (grossi travi), che poi fu chiamato il “Fosso delle Palanche” o della “Palanca”.
Nel 1728 venne fabbricata di fianco a quel fosso una Cappella dedicata a Maria Vergine Addolorata, che ebbe volgarmente il nome di “Cappella della Palanca”.
Nel 1819 quella Cappelletta fu demolita, vi venne costruita la presente navata, e vi fu collocato un gran quadro dell’Addolorata (ultima pittura del Longo, attualmente esposta nella chiesa di San Leonardo).
Nel 1842 fu aggiunto il presbiterio. (L’orientamento è verso i Cornacci; l’ingresso era verso la strada prima della rettifica e allargamento).
L’altare fu donato da G.B. Iellici Settelin, che lo aveva comperato a Bolzano da una Cappella privata di palazzo.
Il quadro è del pittore Carlo Vanzo di Cavalese e fu pagato da G.B. Cristel Doratia. Il bel quadro delle “Anime” nell’antipendio dell’altare è opera del Rasmo di Predazzo. Il rastrello di ferro è lavoro dei fratelli Pietro e Martino Zanon Sambortoli, dono del suddetto Iellici.
L’anno 1855, a cagione del colera, si fece la prima processione alla Cappella.
Nel 1860 la navata fu restaurata, e il 23 settembre venne benedetta dal curato don Nicolò Demarchi, che vi celebrò la prima Messa.
Nel 1874 fu fabbricata la sacristia ed il campanile dal muratore Valentino Canal. Con offerte private, si provvide una campana e Teresa Piazzi n.Iellici Zanòta testò due prati alla Cappella per compenso al santese (sagrestano) di essa.
Nel 1902 Paolo Gilmozzi e moglie Giuliana fecero fare un’altra campana, più grande, sicché la Cappella ne ha due; entrambe della fonderia Chiappani in Trento”. (da Memorie Storiche di Tesero, Panchià, Ziano – di Felicetti-Canal)
L’attuale accesso alla Cappella risale al 1934 per iniziativa del Parroco don G.B. Dellantonio (vedi busto presso la parrocchiale) che, nel suo diario, così scrive:
“… che l’anno 1934 abbia la febbre del lavoro? Finita la decorazione della Parrocchiale, ecco il pensiero dell’ingrandimento di quella Cappella di Stava, che già nutrivo da due o tre anni, martellarmi il cervello con sempre maggior insistenza. Che fare? Tenermi in testa quel tormento? No, è meglio liberarsene. Dunque, avanti! Faccio modificare da Alessio Delmarco il disegno approntato dal Arch. G. Tiella che non mi piaceva; dallo stesso Delmarco faccio fare il preventivo di spesa, domando e ottengo dal Comune, gratuitamente, tutto il legname che occorre, raccolgo qualche offerta e incarico Pietro Paluselli di incominciare il lavoro. A metà novembre le fondamenta erano gettate. In primavera, se Dio vorrà, si condurrà a termine il lavoro di muratura e si costruirà il tetto; il legname è già preparato.
Ho a disposizione 3.000 lire: son poche, ma se arrivo con queste a innalzare le nude mura e a metterci il tetto –e spero di poterlo fare – mi basta: il resto si farà poi, a poco a poco, a seconda dei mezzi. La Provvidenza non muore e qui c’è di mezzo anche la Madonna: la Chiesetta è sua e ci penserà.
15.9.1935. Oggi – Festa di Maria Addolorata – siamo andati in processione alla Chiesa di Stava, come si è sempre fatto da molti anni, alla terza di settembre. Quest’anno si è andati anche a benedire la Chiesa dopo i lavori di ampliamento. Fu dunque benedetta da me debitamente autorizzato, assistito da don Pietro Cristel (zio del defunto don Pierino Cristel, +10.7.1990, il quale, prima di concludere la sua vita terrena provvide, a proprie spese, alla elettrificazione delle campane, n.d.r.) e dal cooperatore don Natale Pettena; era presente una gran folla di popolo.
1.8.1936. Oggi fu finito il pavimento e fissati al loro posto i banchi: quello fu costruito dai fratelli Clemente e Giustino Deflorian e questi da Severino Longo … si vedrà se il pavimento resiste piano e compatto; ora è uno splendore; i banchi belli e comodi. Deo gratias! Ed ora quello che si è fatto serva ad accrescere la devozione alla Madonna”.
L’attuale interno della chiesa si presenta sobrio ed essenziale. Dalla parete di fondo del Presbiterio, il Grande Crocifisso accoglie il pellegrino.
Ai lati dell’arco Santo, due statue policrome realizzate a proprie spese e donate, nel 1936, dallo scultore Albino Doliana (*24.06.1870 + 23.07.1950): a sinistra san Giovanni Nepomuceno, a destra sant’Antonio da Padova con Bambino.
In alto un ex-voto con la scritta: “il 2 settembre 1867 sul monte Armentagiola, un fulmine doveva uccidermi, per Te Gran Vergine ebbi la vita”. Firmato Alessandro Canal.
Sulla destra del Crocifisso si apre un arco con cancellata in ferro battuto che immette nell’abside poligonale originale. Qui si conserva l’altare ligneo descritto in precedenza; ai suoi lati, dentro le nicchie, sono esposte le statue di sant’Eliseo Profeta e di san Giovanni Battista (XX sec).
Sulla facciata destra, la grande lapide in cristallo benedetta dal Santo Padre, Giovanni Paolo II° in occasione della sua visita il 17 luglio 1988 alla nostra comunità.
“La loro perenne memoria sia di monito perché la superficialità, la noncuranza, l’approssimazione, l’incuria, l’interesse non debbano più prevalere sulla cura per l’uomo, la sacralità della vita umana, la coscienza delle personali responsabilità”.
Questo motto accompagna l’elenco delle 268 Vittime della catastrofe di Stava. I loro nomi sono racchiusi all’interno di due materiali di grande forza e trasparenza: plexiglass e cristallo. Le vittime della catastrofe sono così idealmente sospese nel vuoto, lo stesso vuoto che esse hanno lasciato nel cuore dei loro cari e di quanti le conobbero.
La lapide è stata commissionata dall’Associazione Sinistrati Val di Stava; misura mt. 1,20 x 1,40, spessore 5 cm.; realizzata dal grafico Maurizio Cont di Bolzano.
Sul piazzale della chiesetta, il 10 luglio 1988, l’allora arcivescovo mons. Giovanni Maria Sartori ha benedetto il monumento in bronzo, opera di Toni Gross di Pozza di Fassa, dono delle “popolazioni del Vajont ai superstiti di Stava, affratellati in un’identica sciagura”.
“La solidarietà dell’uomo – dice la scritta incisa nel bronzo – fa tornare più forte la vita là dove più grande fu distruzione e sofferenza” e l’arcivescovo aggiunse: “Questo monumento vuole essere un severo monito affinché l’uomo non venga ucciso a causa dell’uomo, della sua imprevidenza, e del suo egoismo. Quest’opera d’arte ammonisce che l’uomo è più grande del suo lavoro e di qualunque altra realtà che esce dalle sue mani”.
Note a cura di Aldo Doliana