Prefazione della “Fondazione Stava 1985”
Il crollo delle discariche di miniera di Prestavel, avvenuto il 19 luglio 1985 in Val di Stava (Trentino), costituisce per dimensioni e numero di vittime la più grave catastrofe al mondo dovuta al collasso di rilevati arginali a servizio di miniere e rimane a tutt’oggi una delle più gravi catastrofi industriali mai verificatesi al mondo, seconda in Italia solo alla tragedia del Vajont del 1963. Una catastrofe che, stando a quanto evidenziato nelle sentenze del procedimento penale che si concluse con la condanna di dieci imputati riconosciuti colpevoli dei reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo, era facilmente prevedibile e sarebbe potuta essere evitata se solo i responsabili della miniera e i preposti ai controlli avessero agito con la dovuta prudenza e con l’uso dell’ordinaria perizia e diligenza, basandosi sulle conoscenze tecniche e sulla letteratura scientifica disponibili all’epoca. Nella vicenda di Stava – nota infatti il Giudice Istruttore nella sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio – si può ravvisare quella prevedibilità del crollo che sarebbe dovuta essere chiara se l’incultura degli operatori non avesse interagito con l’imperizia, la negligenza, l’imprudenza, la superficialità, l’ignoranza, l’assenza di consapevolezza, il mancato rispetto delle norme, le omissioni nei controlli.
I crolli catastrofici delle discariche della miniera di El Cobre in Cile il 28 marzo 1965 (200 vittime), della miniera di Aberfan in Gran Bretagna il 21 ottobre 1966 (144 vittime), della miniera di Buffalo Creek negli Stati Uniti il 26 febbraio 1972 (125 vittime) e innumerevoli altri crolli di discariche dello stesso tipo, avvenuti prima di Stava, avevano infatti già determinato la produzione di numerose e qualificate pubblicazioni scientifiche ma non servirono, purtroppo, a evitare il collasso delle discariche della miniera di Prestavel. Né la tragedia della Val di Stava, a sua volta, è servita ad evitare gli oltre trenta crolli di bacini di decantazione a servizio di miniere avvenuti in seguito un po’ ovunque nel mondo: dall’Africa all’Asia, dall’Australia all’America e all’Europa. Oltre a cagionare la morte di centinaia di persone, questi crolli e il conseguente riversarsi di fanghi inquinanti a valle delle discariche hanno provocato ovunque anche gravissimi danni economici e ambientali. Il fatto che dopo la catastrofe della Val di Stava i crolli di queste discariche siano continuati ad accadere a un ritmo pressoché costante, testimonia da un lato la scarsa attenzione riservata a tali manufatti, che vengono visti ancora come elemento di costo e non di profitto nella gestione complessiva delle miniere, ed è sintomo, parimenti, dell’alto grado di pericolosità insito nella natura stessa di simili discariche. La funzione di contenimento dei limi depositati a decantare è affidata, infatti, ad argini costruiti con la sola sabbia contenuta negli stessi fanghi residuati della lavorazione e troppo spesso la prevista sedimentazione o consolidazione dei limi depositati non avviene o avviene solo parzialmente.
Le cause del crollo dei bacini di decantazione possono essere le più disparate ma sono comunque connesse all’instabilità che caratterizza questo tipo di discariche. Gli effetti catastrofici conseguenti al crollo sono di fatto dovuti alla mancata consolidazione dei fanghi ed al loro peso specifico, che è pressoché doppio rispetto al peso specifico dell’acqua: i 180.000 m3 di fango che fuoriuscirono dalle discariche di Prestavel scesero a valle alla velocità di 90 km/h, distrussero boschi, edifici, ponti e provocarono, oltre alla morte di 268 persone, gravissimi danni materiali e ambientali su di un’area di 435.000 m2. L’esperienza vissuta in Val di Stava ci induce a mettere in guardia su un pericolo che può dirsi celato, ab origine, in questo tipo di discariche, nonché a caldeggiare come prassi indispensabile l’effettuazione di periodiche verifiche di stabilità dei bacini, anche di quelli dismessi, che siano principalmente tese ad accertare l’effettivo grado di consolidamento dei fanghi contenuti al loro interno. Qualora fosse appurata la mancata decantazione dei limi, le discariche non dovrebbero essere considerate dei “bacini di decantazione” bensì delle dighe, giacché gli argini contengono fanghi che hanno peso specifico pressoché doppio rispetto a quello dell’acqua. Un’auspicabile maggior consapevolezza circa i rischi insiti in queste discariche dovrebbe dunque portare all’applicazione di parametri di sicurezza più severi, a maggior ragione laddove le discariche sono costruite a monte di zone abitate e in tutti i casi in cui le verifiche di stabilità, che dovrebbero essere effettuate per obbligo di legge a scadenza regolare anche e soprattutto per i bacini abbandonati, portassero ad accertare la mancata consolidazione dei limi depositati a decantare.
Il rischio connesso alla presenza, ovunque nel mondo e anche sul nostro territorio nazionale, di molte discariche di miniera spesso dismesse è tuttora presente ed attuale. È quindi con particolare interesse che la Fondazione Stava 1985 ha accolto l’iniziativa di Giovanni Tosatti, docente di Geologia Applicata presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Modena e Reggio Emilia, di curare, con il contributo finanziario del Gruppo Nazionale di Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche del Consiglio Nazionale delle Ricerche, la pubblicazione organica degli studi scientifici effettuati sulla catastrofe di Stava. Ci auguriamo che la lettura di questo volume possa suscitare maggiore attenzione e prudenza negli operatori del settore e possa essere anche occasione per promuovere un dibattito che porti alla rivisitazione delle norme che regolano la costruzione di tali rilevati.
Questa iniziativa editoriale collima perfettamente con l’impegno della Fondazione volto a mantenere la memoria di Stava poiché, come ha sottolineato lo stesso Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: “è importante mantenere viva la memoria di quanto accaduto a Stava, una memoria che non è fine a sé stessa ma che deve essere intesa in senso attivo, per far sì che venga stimolato il richiamo alla responsabilità di ciascuno di noi: perché queste disgrazie, il dramma che Stava ha vissuto e gli altri, dipendono essenzialmente dalla superficialità di coloro che hanno responsabilità”. Né possiamo dimenticare a questo proposito le tante Vittime innocenti di analoghe catastrofi industriali – prima fra tutte quella del Vajont – e di tanti disastri colposi fra i quali ricordiamo solo, perché a noi più vicini, i due incidenti della funivia del Cermis a Cavalese – dovuti alla “superficialità di coloro che hanno responsabilità”. Non vogliamo alimentare polemiche o accanirci contro coloro che hanno provocato queste tragedie, ma vogliamo e dobbiamo concorrere a creare e rafforzare negli addetti ai lavori, nella classe politico-dirigenziale e nell’opinione pubblica quella “coscienza delle proprie personali responsabilità” che è mancata al Vajont, a Stava e al Cermis e che sola permetterà di evitare che ancora si ripetano simili, prevedibili ed evitabili avvenimenti.
Graziano Lucchi
Presidente della Fondazione Stava 1985
Tesero (Trento), 24 maggio 20003