8. Francesco Campanella, Mario Govi, Ugo Maione, Gianmarco Margaritora & Antonio Praturlon (1989)
Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei Ministri. In: F. Calvino (a cura di) “La strage di Stava negli interventi della parte civile alternativa. Un processo alla speculazione industriale”, edizione a cura del Collegio di difesa di parte civile alternativa, Appendice I, pp. 179-191, Tipografia Rotaltype, Mezzocorona (Trento).
© Tipografia Rotaltype, Mezzocorona (Trento), Italy
Riassunto
Gli Autori pongono innanzitutto in evidenza che la semplice osservazione della morfologia della località su cui sorgevano i bacini di decantazione della miniera di Prestavel avrebbe dovuto sconsigliare la loro costruzione in quel particolare sito. Tuttavia, a causa della scarsa considerazione generale che all’epoca il mondo della produzione e gli enti di gestione del territorio avevano verso i problemi della salvaguardia dell’ambiente e della sicurezza civile, si procedette ugualmente alla costruzione degli invasi, ponendo così le premesse al loro successivo crollo.
Inoltre, non venne nemmeno fatto riferimento alla normativa tecnica che in Italia regolava la progettazione di dighe in materiali sciolti. Anche se la tradizione dell’ingegneria mineraria porta ad adottare coefficienti di sicurezza inferiori a quelli usati dagli ingegneri civili, quelli relativi agli argini di Prestavel erano tanto bassi da non poter essere in ogni caso accettati.
La nota prosegue illustrando le norme di progettazione, costruzione e controllo dei rilevati in terra confrontandoli con i criteri di progettazione e costruzione adottati per la realizzazione dei bacini della miniera di Prestavel, evidenziandone le gravissime carenze. Dall’analisi delle caratteristiche geotecniche e costruttive dei rilevati arginali di Prestavel risulta che essi si trovavano in condizioni-limite di stabilità, privi cioè di quei margini di sicurezza sui quali si basa l’affidabilità statica di qualsiasi opera di ingegneria civile.
Pertanto, qualsiasi evento come un sifonamento limitato, l’azione vibrante di un mezzo meccanico o qualche dissesto nei condotti di scarico, avrebbe potuto compromettere la stabilità degli argini e renderne pertanto inevitabile il crollo.
In conclusione, l’impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito e gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l’esistenza di comunità umane. L’argine superiore, in particolare, era mal fondato, mal drenato e staticamente al limite. Non poteva che crollare alla minima modificazione delle sue precarie condizioni di equilibrio.
[riassunto a cura del Redattore]